La Somalia è uno Stato con grandi fragilità economiche e sociali: questo Paese non rientra tra i Paesi inseriti nella classifica ISU, né in quella del Gender Gap Report perché i dati relativi allo Stato sono spesso mancanti o inaffidabili (un pesante segnale di instabilità politica oltre che di difficoltà sociali ed economiche); in questo Paese del Nord Africa il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 appare ancora un miraggio, nella maggior parte dei casi.
A pagare le spese di questa situazione è la popolazione civile, ma la Somalia non resta ferma in attesa che la situazione cambi da sola. Qualcosa si sta muovendo. Anzi, qualcuno.
Un gruppo di donne ha dato vita a un media team che sta rivoluzionando il giornalismo somalo e al contempo aprendo nuovi spazi lavorativi, sociali e politici per le donne. Stiamo parlando delle giornaliste di Bilan Media.
Sfruttando dispositivi tecnologici facilmente reperibili (come i propri cellulari), queste professioniste viaggiano attraverso il Paese realizzando inchieste e interviste. I lavori proposti sono poi distribuiti a livello locale e internazionale: tra gli acquirenti risultano anche testate di altissimo profilo, come la BBC, il Guardian, Le Monde o El Pais.
Gli argomenti che queste giornaliste affrontano sono molto scomodi: i loro reportage e inchieste si occupano di infanticidi, di madri-bambine, della diffusione dell’HIV, di depressione post-partum, di maltrattamenti e abusi infantili. Con il loro lavoro hanno portato alla luce le discriminazioni che colpiscono le persone albine o la mancata educazione sessuale e igienica nelle scuole; hanno attirato l’attenzione e alimentato il dibattito pubblico su tematiche in precedenza taciute, come le violenze domestiche o le discriminazioni subite dalle donne in ambito giudiziario e penale.
Con la loro voce queste giornaliste hanno contribuito ad abbattere pesanti tabù.
Il loro lavoro però non è semplice, né ben accettato dalla società e non solo per via dei temi che affronta.
In generale, la Somalia è uno dei Paesi in cui la sicurezza delle e dei reporter è più a rischio, anche a causa degli attacchi di milizie fondamentaliste. In più, molte giornaliste appartenenti a questo team sono state ripudiate dai clan rurali di provenienza e tutte loro hanno ricevuto minacce o offese (soprattutto di natura sessuale) perché il lavoro giornalistico in Somalia è considerato disonorevole per una ragazza o una donna.
Nonostante il pericolo il team Bilal prosegue con il suo lavoro: le ragazze e le donne che ne fanno parte hanno creato un gruppo, una comunità, anche di auto supporto. E con il loro lavoro spingono per accelerare il cambiamento.
La loro esperienza e il loro lavoro accendono speranza sul futuro della Somalia: “Ci si aspetta che le donne nel nostro Paese tengano la loro bocca chiusa, soprattutto in pubblico. Per la prima volta, però, noi abbiamo uno spazio dove sentirci sicure, fisicamente e mentalmente. Mai, prima, alle giornaliste somale era stata data la libertà, l’opportunità e il potere di decidere quali storie volessero raccontare e di stabilire le modalità con cui farlo”.
(Nasrin Mohamed Ibrahim, caporedattore di Bilan, canale radiotelevisivo somalo. ©Atlas 2024)